La terapia del racconto: curarsi (e curare) con la memoria autobiografica

“Ricordo quando…”
“Ai miei tempi…”

Succede ogni giorno, ovunque: anziani che regalano ai più giovani e al mondo che verrà i ricordi loro e di una comunità intera, in una sorta di staffetta intergenerazionale.

Il desiderio di raccontare la propria vita appartiene un po’ a tutti, che sorga dalla volontà di intrattenere piacevolmente qualcuno con aneddoti saporiti o dall’inconscio desiderio di riappropriarsi del passato e sentirsi “protagonista”. In ogni caso, quando questo desiderio ci sorprende, l’autobiografia di quel che abbiamo vissuto, amato, sofferto, odiato inizia a prendere forma. Sperimentiamo, così, il compimento della cosiddetta “memoria autobiografica”, apportare benefici a chi ascolta come a chi narra.

Parlare della propria storia significa mettere in scena i ricordi, dando quindi il via a una visione introspettiva su ciò che nella vita si è fatto, col positivo risultato non solo del recupero di “tasselli” del passato, ma anche di sentirsi artefici non di una, ma di tante, tantissime trame.
Ripercorrere le orme del tempo equivale ad intraprendere un viaggio all’interno di sé, a riannodare fili interrotti, a ridefinire storie sospese, a caratterizzare con più nitidezza impressioni derivate da relazioni e situazioni. E farne una storia da consegnare al prossimo con se stessi quali eroi principali, un lascito, una (piccola) speranza di persistenza in eterno.

Tuttavia, non tutto fa racconto. Quando una persona anziana narra di sé, ad esempio, tende a soffermarsi a un limitato numero di eventi. Questo perché egli tende a ricordare le situazioni che lo hanno coinvolto maggiormente a livello emotivo, sia in modo positivo (nascite, matrimoni, feste, ecc.) sia a negativo (terremoti, alluvioni, guerra, lutti, abbandoni…).
E non sempre, oltretutto, le medesime vicende sono narrate con uguali dettagli. Capita, infatti, di ascoltare affascinanti narrazioni dai nostri anziani che, pur conservando una struttura di base, si arricchiscono via via di particolari sempre diversi. Questo perché i racconti non sono la riproduzione fedele di quanto accaduto ma ricostruzioni operate a partire da frammenti di ricordi integrati con ciò che ci è stato riferito da altri, con le nostre conoscenze più generali o più semplicemente con specifici stati d’animo e sentimenti.

Quella del racconto è, dunque, una vera e propria terapia, in quanto stimola mente e cuore, mettendo in moto, congiuntamente, la parte razionale, emotiva e immaginativa del sé.
D’altra parte, la memoria autobiografica non cura solo chi la sperimenta: ascoltare le voci a volte sicure, a volte incerte dei più anziani, regala emozioni autentiche e consente di evadere e viaggiare per epoche lontane, oltre che conoscere più attentamente il proprio interlocutore il quale, attraverso la parola, ci consegna indirettamente le chiavi della sua anima.

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